Il film documentario di Gianfranco Rosi, “Sacro Gra”, in concorso ieri alla 70.Mostra  Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, ha suscitato ampi consensi di pubblico come tra gli addetti ai lavori.

Per la prima volta un documentario è entrato nella rosa dei film a concorso ed ha giocato le sue carte con rigore e passione, offrendo uno sguardo “indiscreto” sull’incredibile realtà umana che si attesta a ridosso del Grande Raccordo Anulare di Roma, progettato dall’architetto Eugenio Gra a metà degli anni 20 del ‘900, del quale conserva il nome nell’acronimo.

Per oltre due anni il regista ha percorso il Gra a bordo di un van per guardare da vicino la vita brulicante e per lo più invisibile che scorre lungo la trafficatissima carreggiata romana.

“In un luogo privo di identità – afferma Rosi- ci sono personaggi con fortissima identità. È stato un film fatto d’istinto, non è stato scritto niente prima, si è strutturato al montaggio”.

E con un grande istinto il regista raccoglie frammenti di vita vera con protagonisti a dir poco incredibili e spesso felliniani. Un set di fotoromanzi, un camper con prostitute del tempo che fu, un giardiniere che combatte contro i parassiti delle palme, un attempato pescatore alla caccia di anguille, un volontario del 118.

Questi sono solo alcuni dei personaggi che Rosi ha colto magistralmente raccontandoci la loro esistenza, i loro problemi, fantasie, speranze, illusioni.

Le immagini sanno indurre emozione e lo spettatore entra nell’universo del Gra in un’empatia irresistibile. I circa 90 minuti della pellicola scorrono senza fatica.