11:05, nei pressi di casa di Boris. Chi spia le spie?

È fermo lì da prima che girassi l’angolo. Osserva la porta di casa mia, non c’è dubbio. Chi è? Seduto su quella panchina, elegantissimo, le dita che tamburellano sopra le ginocchia, la pelata e, soprattutto, quei baffi.

Il più folto paio di mustacchi che abbia mai visto, arricciati alle estremità con un velo di cera lucida, di un colore a metà tra il grigio e il madreperla. Eppure, per quanto perfetti, unici, curatissimi, sono palesemente finti.

Lo penso perché ad ogni soffio di vento le punte traballano pericolosamente, pronte a volare via. Il gentiluomo deve tornare, a brezza calmata, a sfregarle tra pollice e indice per arricciarle nuovamente: una serie di movimenti meccanici con cui, insomma, tenta il possibile per far aderire i baffi alla faccia ogni volta di più.

Dunque: il gentiluomo con i mustacchi posticci spia la mia casa ed io spio lui. Sospetto subito di Bruno, naturalmente, ma i due non si somigliano affatto: quest’uomo avrà una settantina d’anni, a guardarlo un po’ meglio, ora che ho attraversato la strada e gli sto a pochi metri. Se fosse un vero malintenzionato, comunque, uno per cui spiare cose e persone è il mestiere di una vita, si sarebbe già accorto di me; invece, continua a guardare la porta come aspettandosi di vedermi uscire da un momento all’altro.

  • Buongiorno, blogger! Come stai?

Una pacca sulla schiena e Gaio mi si piazza davanti! Alto e stretto, le braccia penzoloni, complessivamente oblungo, inizia a fare quello che gli riesce meglio: ciarlare. In quartiere, lo conoscono tutti per questo. Di che cosa sta parlando, poi? Suocere raggrinzite, cani presi in pignoramento, bollettini da firmare, grandinate a livello del mare, obiettori di coscienza, rosoni di cattedrali, guide galattiche, maturazione delle zucche, stampanti 3D… Sbircio oltre la sagoma di Gaio. Con una rapidità che non avrei mai associato ad un uomo della sua età, il gentiluomo con i baffi finti è già sparito.

15:30, casa di Boris. L’hai visto anche tu?

  • Perché quell’uomo anziano dovrebbe spiarti, Boris? Mi sembra una storia improbabile… perfino per te.
  • Te l’ assicuro! Con quei mustacchi posticci, poi…
  • A meno di non voler fare una capatina dal barbiere, togliteli dalla testa!

Accende l’aspirapolvere.

  • Mila, ma proprio adesso?! Sto scrivendo!
  • Finisco subito!

La scrittura è ritmo; se lo perdi, se un rumore estraneo te lo viene a turbare, meglio fermarsi.

Mi rimangono una mezza pagina bianca e cancellature a penna rossa sulle righe già scritte. E quel fastidioso aspirapolvere in sottofondo.

  • Esco a fare una passeggiata, Mila! Così puoi finire le pulizie da sola…

16:10, via Villàr. Scusi, ha da accendere?

Una panchina della via Villàr affaccia direttamente sullo spiazzo di un parcheggio. Guardare le automobili muoversi a rallentatore tra muretti invisibili evocati da linee disegnate a terra, mi rilassa. C’è una precisione misurata, in tutto questo, quella che servirebbe a me per rimettermi a scrivere senza interruzioni. Pensavo che l’incontro con Adela de Tuda mi avesse in qualche modo ispirato, e invece…

  • Scusi!
  • Si?
  • Ha da accendere?

È lui… è il gentiluomo con i baffi finti!

  • Non fumo, mi dispiace. Sbaglio o l’ho già incontrata da qualche part… aspetti!

Basta una manciata di secondi perché torni alla sua macchina, apra lo sportello, riparta; così ossuto e così energico, tanto rugoso quanto scattante.

19:07, sul viale principale di Irene. Freni, almeno tu…

  • È lì! Guardalo, Freni!
  • Boris, io non vedo nessuno…
  • Si è voltato verso quella vetrina appena ho incrociato il suo sguardo!
  • Boris, quale settantenne si metterebbe a spiare la tua vita, me lo spieghi?
  • Adesso sta cambiando strada. Era vestito così anche oggi pomeriggio, ma il bastone da passeggio non l’aveva.
  • Se ti preoccupa così tanto, perché non vai a parlargli? Lo raggiungi e senza mezzi termini gli dici che non ti fidi dei suoi baffi posticci!
  • Nemmeno tu stai prendendo sul serio questa cosa, eh?
  • Fammi indovinare: anche Mila ti ha detto di lasciarlo perdere…

È sarcastico, ovviamente.

  • Mila non mi risponde al telefono: credo si sia offesa perché me ne sono andato via di casa tutto corrucciato mentre faceva le pulizie.
  • Corrucciato?
  • Sì, ho anche sbattuto la porta uscendo…

23:53, piazza delle Fontane. Le scelte più difficili si prendono col buio.

Lei ha gli occhi azzurrissimi, spinge una bici lungo l’orlo un po’ ovale della piazza, mentre il ragazzo con gli occhiali la fa ridere schiacciando una lattina di birra vuota. Passano proprio accanto a noi due.

  • In ritardo, Mila… sono in ritardo!
  • Ma com’è possibile? Pensavo che fossi addirittura avanti col lavoro: insomma, scrivi sempre!
  • Invece no… ho smesso di correggere le bozze già da un po’, non ho più riletto i dialoghi e questo CAPITOLO 10 non riesco nemmeno a cominciarlo. Il concorso scadrà presto, devo presentare il mio romanzo in tempo! È l’ultimo mese che ho a disposizione, le ultime parole da scrivere. Non posso più permettermi di perdere tempo per colpa di situazioni come quella di oggi pomeriggio. Io devo finirlo! Devo, capisci?

Eppure, per quanto Mila mi sia vicina, ci sono cose di me che non potrà mai afferrare pienamente, nonostante il suo caffè o il tempo che passa a leggermi ogni settimana…

Forse le sono sembrato più serio del solito: annuisce con compostezza.

  • Va bene, Boris, ho capito.
  • Hai capito?
  • Ho capito che forse è meglio se torno a stare a casa mia, con Flavia, nell’appartamento sopra quello degli Acrèi. Dopotutto, non abbiamo avuto più notizie di Bruno da mesi: ormai sono al sicuro da lui.

Non può averlo detto davvero; non così, non adesso!

  • Mila, senti…
  • Sono passati due mesi, Boris… forse dovremmo tornare alla nostra solita vita! Io coi miei mix chill-out ed una coinquilina stravagante e tu con il tuo jazz, con #BlogBoris, coi tuoi ritmi di scrittura in solitaria. Non ti sembra che siano cambiate troppe cose e troppo in fretta, di recente? Io devo ancora capire come prendere tutti questi cambiamenti. No, non aggiungere altro… I tuoi progetti sono i tuoi progetti: lo capisco. A quanto pare non puoi scrivere il tuo libro e vivere insieme a me. Ci farà bene separare di nuovo le nostre vite.

Distolgo lo sguardo da Mila. È come aver appena morso qualcosa di amaro e freddo. Cibo disgustoso che impasta la bocca e intorpidisce la lingua. Il ritmo allegro di Watermelon Man sembra quasi voglia prendermi in giro.

09:35 del mattino, casa di Mila. L’avresti mai detto?

E adesso, un déjà-vu: io e Mila sul pianerottolo di casa di lei, il suo gattone che le si struscia contro le caviglie e le solletica i piedi con la coda. È successo così tante altre volte che mi sembra di riviverle tutte contemporaneamente.

  • Allora, ciao.
  • Ciao, Boris…
  • Non avrei più voluto doverti lasciare dietro questa porta.
  • Io dovrò riabituarmi a dormire da sola!
  • Era proprio necessario tutto questo?
  • Sì.

Categorica, come l’ho vista poche altre volte.

  • Ti chiamo prima di pranzo.
  • Meglio di no: io e Flavia abbiamo molto di cui parlare. Chiamami stasera.
  • Mila… so che è una domanda un po’ infantile, ma sta succedendo perché me ne sono andato sbattendo la porta?
  • No! Non solo per quello, almeno: per lasciarti lo spazio di cui hai bisogno, per riprendermi il mio… per avere più voglia di vederti la prossima volta che ti rivedrò… Arrivederci!

 

 

A scenderle, le scale del palazzo in cui sto lasciando Mila non finiscono più.

  • #BlogBoris, articolo su DIREZIONI: “lui, Otto, ha quarantadue anni, una zazzera d’un biondo sporco, l’aspetto allampanato, e lei, Sandra, trentaseienne, lo sguardo verde, il fisico minuto ma perfetto”. Otto è una parola palindroma, sai? Puoi leggerla in entrambi i sensi!
  • Ancora lei!
  • Dammi del tu, Boris! Io continuo a non aver capito bene il finale di quel tuo articolo coi tre irlandesi: era davvero tutto un set, alla fine?
  • Lasciami passare!
  • Che fine ha fatto Bruno? Credi davvero che uno come lui possa sparire definitivamente? Te le ha suonate di santa ragione al quartiere cinese!

Il gentiluomo con i baffi posticci mi sta tallonando giù per le scale del palazzo, e non c’è verso che io provi a correre via: mi trattiene dalla manica della camicia con una stretta solidissima.

  • Sono sicuro che Perzio e Cloe diventeranno dei giornalisti di fama! Piotr e Jules mi ispirano fiducia! È davvero così buono il cappuccino del caffè letterario?
  • Quante altre cose conosci della mia vita?!
  • Dimmi un po’: tu e Mila non vi siete lasciati per davvero, giusto?

Adesso è troppo. Mi svincolo dalla presa, allungo l’altra mano dritta verso la sua faccia e l’attimo dopo stringo tra le dita dei grossi mustacchi arricciolati. Deglutisce, asciuga il sudore dalla fronte. Sembra solo un vecchietto, ora.

  • Ti osservo da qualche tempo, Boris, ma non per caso: so che chiesto di me in giro e so che ti eri interessato al mio lavoro. Se fossi stato un farabutto, sarei stato in pericolo: dovevo conoscerti bene, ragazzo, per potermi difendere. Dovevo, capisci?

È lo stesso tono che avevo usato io con Mila ieri sera. Mi è sembrato di risentire le mie stesse parole.

  • No, io… non riesco a capire…
  • Pensaci un attimo, in fondo è semplice! Sono uno scrittore anch’io… mi piace camuffare la mia identità… Boris, io sono Italo Bracci!