Gli anni cinquanta, cromati e luccicanti, sono il naturale sfondo di “Jersey Boys” una storia di italoamericani a New Jersey, microcosmo che intreccia la micro criminalità alla criminalità organizzata e dove l’ unica regola che vale è quelle della lealtà .  Il desiderio di  rivalsa si fa largo a suon di canzoni e voci in falsetto.

È questo quello che  l’84enne Clint Eastwood, regista ed ex-attore, vuole raccontare dei Four season, antesignani delle moderne boy band, dei  gruppi che  spesso nascevano dalla strada. In un momento di estremo fermento musicale le radici italoamericane conferivano loro quella spinta in più verso la legittimazione di un successo che figli e nipoti di immigrati cercavano spesso di raggiungere.

Indiscussa prova di stile del regista che si fa forte di  canzoni, coreografie e vestiti per dare il senso di un’epoca . Eastwood riesce a contagiare lo spettatore con la voglia di cantare e ballare.  Inevitabili i momenti drammatici, naturalmente presenti nella storia di una vita diretti da Eastwood con lucido rigore.

Notevole  la capacità di uscire dai confini ristretti del palcoscenico teatrale che ha visto per molte stagioni l’omonimo musical campione di incassi  e  portare la storia nel mondo reale.

Tante tessere di un mosaico che si compongono per divenire affresco di un’ epoca,  piacevolmente sospeso  tra il ricordo melanconico e il piacere di riascoltare vecchie melodie.

Il film, da ieri nelle sale italiane, ha la capacità di fare emozionare e riflettere. Un concentrato di positività confermato dallo stesso Eastwood   in una recente intervista quando,  alla domanda se si ritiene  ottimista in un mondo che cambia, ha risposto dicendo :  “Sì, anche se è difficile. Ma cerco di esserlo, il pessimismo è una strada che va all’incontrario“.

Immagini: Repubblica.it