Un ragazzo alto, dai folti ricci neri, riservato, timido ma emozionato quando parla del suo lavoro, così si presenta Alexis Giannotti, fondatore del giovanissimo brand di moda maschile Omogene.

Residente a Monaco, ma fiorentino doc dove ha studiato prima design industriale e poi marketing e comunicazione al Polimoda di Firenze, Alexis Giannotti mette subito in chiaro il proprio punto di vista sulla sua idea di uomo. Il suo uomo non è statico bensì ogni stagione vive in un concept, immaginato da Alexis stesso che narra così la storia di quest’uomo.

“È molto più incisivo raccontare tramite la moda un tipo di uomo, rispetto allo scrivere un libro, perché per fare ciò io devo vivere tali situazioni. Per l’autunno/inverno scorso mi sono ispirato alle Metamorfosi di Kafka mentre per l’estate quest’uomo si trasforma e viaggia con i ‘trucker’ (camionisti) sia parigini che del deserto americano.”

L’uomo di Omogene quindi muta e basa il proprio stile sul gioco di trasformazione-metamorfosi elegantemente definito da Lavoisier nella frase “rien ne se perd, rien ne se crée, tout se transforme” (nulla si distrugge, tutto si trasforma), adattata e fatta propria dal giovane Alexis che con ferma sicurezza, rimarca che “questa trasformazione (e quindi la storia nel suo uomo), non finisce mai, cambia, ma continua. È come un libro che non ha mai fine.”

– Questa trasformazione che compi con la tua moda, avviene, durante una collezione anche in te come individuo e uomo?

– Non lo so se cambio, non riesco a capirlo ma penso che la mia trasformazione avvenga anche nella vita quotidiana, da quando mio padre mi dava in mano i cataloghi di Sotheby’s, al mio approccio con la cultura street e l’architettura e così via.

– Sei un tipo camaleontico?

– Si, potrei definirmi un tipo camaleontico, ma ho pur sempre dei valori che mantengo e che, ovviamente, sono radicati nella mia moda. Innanzitutto vi è il valore del concept, dell’idea. Al secondo posto metto l’artigianalità che, anche se è stata molto inflazionata come parola e “way of branding”, io nel mio piccolo cerco di mantenerla agli standard più elevati, lavorando con piccoli artigiani fra il Veneto e la Toscana. Al terzo posto la ricerca, intesa come indagine dei tessuti, dettagli e strutture.

– I primi traguardi raggiunti?

– Sicuramente l’essere stato selezionato da Vogue nella sezione Who’s On Next che, per essere appena giunto alla seconda stagione di vita, lo trovo davvero gratificante.

– Parlami della collezione estate 2016.

– La collezione è ispirata al mondo dei “truckers” (camionisti) e, per incominciare il mio lavoro, ho studiato a livello antropologico il loro modo di vestirsi, di vivere. Il camionista è lontano da casa, gli manca la famiglia, vive nella nostalgia che, oltre ad essere personale, è soprattutto sociale. Ho voluto dare risalto alla vita di coloro che non stanno sotto i riflettori bensì che conducono un’esistenza normale la quale si può rivelare davvero affascinante.

E dopo queste parole Alexis mi mostra il mondo dei suoi segreti, il suo blocco con su tutte le foto, i disegni ed i ritagli di giornale pieno di dettagli sul mondo del camionista, traslato da Omogene in versione sfacciatamente realista. Nel guardare la collezione sembrava di leggere “I Malavoglia” di Verga in cui la nuda e cruda realtà della società viene raccontata e fotografata, con occhio critico ed un pizzico di romanticismo, a livelli eccelsi. Tutto combacia e tutto ha un senso logico razionale.

Ecco quindi che i sedili su cui siedono i “truckers” diventano dettagli per shopper in vitello, le maglie (in più filati) narrano paesaggi infiniti al tramonto visti dalla prospettiva di un camionista o, ancora, ricordano i tappetini vicino ai pedali della guida, le camicie-tuniche (must have per l’estate 2016 di Omogene) richiamano i camionisti pakistani.

Grande protagonista della collezione è poi il cappotto, dallo spirito nostalgico e romantico, realizzato in tessuto da borse “workwear” col grande collo.

– Come ti piacerebbe espandere il brand? A macchia d’olio o più qualcosa di nicchia.

– No, nessuna di queste due realtà mi interessa, vorrei puntare più sul “metodo Comme des Garçons” con concept stores non di lusso in grandi città che mi permettano di aiutare i giovani talenti e giovani designer. Sto anche pensando di lanciare una linea donna, ma per ora sono solo idee.

– Ultima domanda, quali sono per te le tre cose che non possono mancare nel guardaroba maschile?

– Sicuramente un cappotto lungo, una camicia con gli jabeau ed, infine, un bel paio di pantaloni neri, eleganti, puliti.

Immagini: Courtesy Press Office